VITO FUSCO

“The killing daisy”

Location: KENYA

Il fiore della morte è un ossimoro audace: una docile maschera che la fa apparire come una comune margherita e un delicato profumo di camomilla, distoglie chiunque dalle sue vigorose potenzialità. È del Piretro che si parla. Un fiore appartenente alla famiglia delle Asteraceae che è da secoli utilizzato come insetticida naturale, sia in Persia che in Europa. Solo nella metà del diciannovesimo secolo, tuttavia, le sue incredibili proprietà sono effettivamente emerse nel mercato globale dei pesticidi ed insetticidi. La piretrina, sostanza di cui questo fiore è naturalmente provvisto, è nemica degli insetti. Il fiore della morte non è un cupo appellativo a caso. Quando questi piccoli animali ne entrano a contatto il loro sistema nervoso viene attaccato su più fronti: li stordisce, li paralizza, fino ad ucciderli. Ma qual è il suo vero asso nella manica? A differenza degli altri insetticidi sul mercato, la piretrina ha un bassissimo contenuto di sostanze nocive per i mammiferi e ancora più importante è estremamente volatile e non sistemico (non penetra nella linfa delle piante) ed è 10 volte meno tossico per organismi acquatici e suolo (*1), motivo per cui è il principale insetticida utilizzato nelle culture biologiche. Il Kenya, nella sua parte ovest ed in particolare nella contea di Nakuru, ne è stato il maggior produttore ed esportatore, principalmente per la qualità e la purezza del suo prodotto. Le colline della zona, grazie al loro terreno argilloso (ricco di fosforo, di calcio e magnesio in un suolo con PH tra5 e 6,5), alle altitudini superiori ai 1500 mt ( entrambe fattori che innalzano il contenuto di piretrina nel fiore), e anche grazie al fatto che qui la coltivazione è ancora manuale (25 Kg di raccolto in circa 4-5 ore), fanno si che da ogni Kg di fiore fresco raccolto (ne servono 5-6 di fresco per avere 1Kg di secco) diventi poi un estratto ad altissimo contenuto di piretrina . Le colline della zona sono costituite da terreno argilloso, ricco di fosforo, calcio e magnesio (in un suolo con PH tra5 e 6,5) e di altitudini superiori ai 1500 mt che difatto innalzano il contenuto di piretrina nel fiore. Queste caratteristiche del suolo, unite ad una coltivazione ancora manuale (pari a 25 kg di raccolto in circa 4-5 ore), fanno si che ogni kg di fiore fresco raccolto (ne occorrono 5-6 per ottenere 1 kg secco venduto a 200Ksh), diventi poi un estratto ad altissimo contenuto di peritrina. Eppure negli ultimi anni, a partire dal 1983, (picco massimo della produzione con 28643 tonnellate prodotte), si è arrivati nel 2017 a sole 200 tonnellate di raccolto. Ma qual è stata la causa? I fattori scatenanti sono diversi. In primis la sintesi chimica che ha dato la luce i piretroidi, nel 1973, ha detronato il prodotto naturale per uno di più facile produzione e, di conseguenza, più economico, ma non biologico. In una fase successiva, iniziata 20 anni fa e arrivata fino ad oggi, la cattiva gestione della produzione messa in atto dal Pyretrum Board of Kenya, l’unico laboratorio di trasformazione Kenyano che per anni ha impugnato lo scettro del monopolio statale. Una cattiva gestione tradottasi principalmente in lunghi ritardi nei pagamenti ai coltivatori, che storicamente affiancano alle classiche colture quali mais, patate etc., la produzione di questa margherita con lo scopo ben preciso di disporre di una coltivazione capace di garantire denaro in modo prolungato e immediato (la coltura di piretro, una volta avviata garantisce raccolti ogni 15 giorni circa, per un ciclo vitale della piante che arriva fino a 3 anni. La raccolta di 20-25 kg di prodotto fresco impiega circa mezza giornata, ed una volta seccato viene venduto a 200 Ksh al kg generando circa 1000 Ksh). Dopo la metà degli anni 2000, inizia un esodo di massa dalla coltivazione del piretro. I contadini abbandonano la coltura di questa pianta, insieme alle speranze che vi germogliavano, di un fiore che da un lato uccide, ma che dall’altro tiene in vita l’intera agricoltura grazie ad una coltivazione perenne che permette loro di lavorare tutto l’anno. Nel 2013 il governo ha deciso di liberalizzare la produzione della piretrina permettendo così l’ingresso di player privati: è il tentativo di un’ambiziosa rinascita del settore, in momento storico dove l’attenzione per l’ambiente e la richiesta crescente di prodotti alimentari biologici hanno creato un terreno fertile in cui far germogliare questa speranza.

ABOUT VITO FUSCO

 20 giugno 1980, vivo a Positano. Mi sono avvicinato alla fotografia per “colpa” della mia compagna, che si interessava di arti visive e plastiche. Era semplicemente un gioco, ma molto piacevole e congeniale. Mi sono affezionato al mezzo e innamorato dell’idea di poter esprimere, di potermi esprimere, di poter lasciare un messaggio. Il momento chiave è l’incontro con uno dei maestri norvegesi della fotografia: Morten Krogvold e della sua compagna di vita Tarand. Erano clienti di vecchia data del ristorante dove lavoravo. Per due settimane Morten ha vestito i panni di “Pablo Neruda” nel film con Massimo Troisi: “il Postino”. Dopo qualche anno ho creato Arkimedia Lab con Antonio Casola (Web Designer), un’agenzia che si occupa di comunicazione visiva ed editoria. Ho all’attivo la pubblicazione di 1 libro fotografico “ Peru”, in collaborazione con l’ambasciata Peruviana in Italia e “Stonewall the temple”, presentato in anteprima ad Orvieto nel 2017 grazie al supporto e la lungimiranza di FIOF. Stonewall ha avuto il patrocinio anche di Amnesty International, circa 40 mostre in tutta italia e mi ha aiutato ad ottenere il QIP, oltre a vincere numerosi premi (People di Lensculture, IPA Award). Nel 2020 sono stato il vincitore del Sony World Photo nella categoria Documentary Photography con il lavoro realizzato in Kenya: The Killing daisy, editor’s pick per Indipendent e pubblicato su NATGEO USA. Amante dell’antropologia, curioso di natura e spinto dalla voglia di raccontare prima a se stesso e poi agli altri le storie in cui si imbatte.

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